martedì 4 gennaio 2011

Arriva la Befana...

Tra qualche giorno la vecchia signora che dispensa cose buone ai bimbi buoni e cenere e carbone ai fanciulli cattivi si porta via le “festività natalizie”. Un altro anno si è chiuso, gli auguri per il prossimo si sono scambiati, i regali pure e anche qualche grande abbuffata.

Ho il privilegio di conoscere tante persone, tutte assiepate su gradini diversi della scala sociale, alcune in alto in alto altre in basso in basso. Alcune felici per aver ricevuto dei dolci e una bottiglia di Melarosa o di Brindeasy (quest'anno solo prodotti salentini ho regalato) altri che hanno apprezzato un Donna Lucia del 2006 o un Divoto del 2000.

In tutti, ma proprio in tutti, c'è un denominatore comune: la festa si gode pienamente ma con l'occhio a domani. Preoccupazione e insicurezza sono il denominatore comune del mio ca

mpione di riferimento. In qualche caso anche senza soverchie giustificazioni a tanta ansia.

Lo scrivono e lo dicono in tanti, in troppi: il domani è più un problema che una speranza

. Lo ha rammentato perfino il Presidente Napolitano ricevendo il solito, inutile, stucchevole plauso ecumenico. Una comunità nazionale che ha attraversato la lunga stagione dell'egoismo (quasi trent'anni) individualista e che ora, di fronte ai giganteschi problemi che la normale evoluzione pone, si sente impotente e fragile.

E capisce che non è una percezione. La società che ha riscritto il vocabolario, che ha inventato i diversamente abili e gli ipovedenti, i Lodi e il legittimo impedimento, l'impresa delocalizzata e la finanza creativa in nome di un tutto che progredisce grazie al progresso dei singoli sa che questa storia del reale e del percepito è una balla per allocchi. Sa che le difficoltà non sono percepite ma reali. Procedere contronatura, da individui piuttosto che da società, ha disabituato al lavoro collettivo, al sacrificio di una parte di se per il bene comune. Come leggere diversamente il NIMBY, o la tutela di privilegi corporativi durissimi da estirpare?

La vecchia signora a cavallo di una scopa si porta via le feste e non sarò io a infestare quest'ultimo scampolo di relax rivangando un anno orribile e l'orribile inizio di quest'altro. Solo alcuni vecchi cialtroni rimbambiti e alcuni giovani cortigiani scoppiati di coca continuano a dire che tutto va bene madama la Marchesa.

Noi che sapevamo che così non era, che non siamo stati creduti allora, abbiamo av

uto il tempo per cercare di enunciare una exit strategy. Come al solito ve ne sono diverse. La prima, la più semplice di tutte, è una bella guerra tra uomini che faccia 3-400 milioni di morti (percentuale di popolazione come fu quella della II Guerra Mondiale) e che, liberato lo spazio, t

rascini verso la ripresa i sopravvissuti con il loro carico di ottimismo, le risorse da spartire e le teorie sulla pace per sempre che tanto spopolano dopo un conflitto terribile e tanto scemano passato il ricordo.

Via che sarebbe anche percorribile se non fosse che non si è in grado di sapere da che parte ci saranno le vittime...

Poi c'è un'altra strada, quella di una guerra tra futuro e passato, di un conflitto perm

anente tra le riparazioni che occorre fare e i danni che si sono fatti. Di un ricostruzione seria dell'am

biente, delle condizioni di vita sociale ed economica delle popolazioni dell'intero pianeta. Di una ricerca e di una tecnologia da ampliare per migliorare la vita di tutti piuttosto che il dominio di alcuni.

La strada buona non è difficile comprenderla, più essa include più ci si avvicina alla felicità. Più essa esclude maggiore è la diffusione della sofferenza. Non sono un santo. Solo un semplice deduttore: la sofferenza produce rabbia e la rabbia produce violenza. Se si sceglie la via dello scontro e della sopraffazione, magari utilizzando armi e potere, si deve sapere che questa non dura per sempre e poi non ci si deve lamentare se si va finire appesi a testa in giù.

Le risorse del mondo, nel tempo di una vita, sono limitate. Se diamo loro la possibilità di rinnovarsi possono soddisfare anche chi viene dopo. Bisogna consumare risorse ad una velocità minore o uguale a quella con la quale si riproducono e bisogna distribuirle in forma più equa, questo è tutto. Esiste un capitalismo capace di fare questo? Trovatelo, altrimenti, se il capitalismo è quello che conosciamo la Befana porterà qualcosa e ma non si porterà via le preoccupazioni. E potrebbe accadere che, fra qualche tempo, la Befana porti caramelle ad alcuni e corda saponata ad altri ...(Pino De Luca)

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