domenica 19 giugno 2011

Politica:Uscire dall'incubo con gli occhi aperti

Lo so, è in ritardo, non é sulla notizia e nemmeno urlato. Forse a nessuno importerà e deluderà chi voleva, da me, sapere delle amministrative, dei referendum e del terremoto politico.

Ma rimango della convinzione che per capire bisogna chiudere gli occhi, come faceva il mitico Poirot, sedersi e pensare, lasciare che le piccole cellule grigie mettano in ordine, almeno in uno dei millanta possibili ordini, le schegge impazzite che volteggiano nei cieli di questo 2011. Forse i Maya avevano ragione, forse per davvero il 2012 sarà l'anno della fine del mondo. Almeno del mondo che conosciamo, governato da regole che non funzionano più, che sono incapaci di rispondere alle esigenze di chi il mondo popola e vuole continuare a popolare. Dovrei cominciare, a rigore, dai massimi sistemi. Troppo lungo e tedioso. Comincio dal minimo: la fine dell'incubo berlusconiano sbocciato, come tutti gli incubi, per indigestione.

Per decenni l'amorfa moltitudine dei singoli ha ingoiato pessimi comportamenti, mascherati da discorsi profumati e dai colori accattivanti, sapori speziati che nascondevano merce avariata e maleodorante. L'amorfo popolo, privo delle difese che organizzazioni severe e financo plumbee implose per l'evolvere della storia hanno garantito per qualche decennio, è stato esposto e trascinato nel gozzoviglio.

Ha ingurgitato liberamente robaccia, anche quella venduta al mercato nero da chi lasciò la lunga strada della dirittura morale e della rigorosità personale per imboccare quella della “cultura di governo”. Intendendo con quest'ultima sostanzialmente l'arte di fottere il prossimo dopo aver fottuto tutti quelli che venivano prima.

Poi però si è trattato di digerire, e la natura deve fare il suo corso. Qualcuno ha vomitato, altri hanno vissuto la dissenteria, altri ancora si sono ammalati di fegato.

Tutto questo poteva continuare tranquillamente se l'unico mezzo di nutrizione fosse stato il canale di distribuzione del mangime predigerito. Ma un piccolo mercato si è sviluppato, la grande piazza elettronica ha permesso che i piccoli contadini della cultura del vicolo potessero scambiarsi i loro alimenti. Il lievito madre conservato da qualcuno ha fatto lievitare la farina che qualcun altro aveva nella madia. Il vino buono ha fatto capolino e l'olio, la frutta, la carne e le uova hanno ricominciato a circolare. Dapprima piano, poi sempre di più fino a diventare valanga. E la valanga non risparmia nulla e nessuno, la valanga è fatta di nuovi entusiasmi, di voglia di esserci e anche di grande conoscenza. Essa rivolterà ogni cosa, cambierà il panorama, sovvertirà dal profondo il supermercato dei contenitori di plastica con dentro gli alimenti di plastica.

L'antica profezia sul costruttore di corda si è avverata. Non c'è scampo al grande flusso di redistribuzione della popolazione, alla necessità di vivere il lavoro come realizzazione di sé stessi oltre che come fonte di reddito, alla necessità di provare ad essere felici insieme invece che da soli.

Lo dicono le elezioni? Lo dicono i referendum? Lo dice la rete? Anche, forse, sicuramente. Ma lo dicono soprattutto l'ignoranza dei commentatori più accreditati, l'arroganza dei potenti che non contano nulla, l'affanno dei politici che non comprendono, l'inadeguatezza del sistema dell'istruzione che vuole aprire con chiavi arrugginite delle porte elettroniche a variabili biometriche, le parole di leader che parlano a sale vuote come le loro parole.

A me lo hanno detto, plasticamente, due eventi vissuti: un gruppo di giovani organizzato da un gruppo di giovani ha messo su una performance artistica bellissima, innovativa, colta e, ohibò, produttiva. A Lecce, città del Sud e come tale abbastanza sonnacchiosa nei confronti del nuovo, spesso afona anche verso l'ardito. Ho visto Federica, la ragazza che mi ha invitato, viva, con gli occhi pieni di determinazione. Belle cose, alcune splendide, una mi ha colpito immediatamente: la fila! Fame e sete di conoscenza, e fiducia nei giovani da parte di una fila di “noi” che di giovanile ne sbandieriamo ormai solo spirito. Straordinario.

L'altra è un po' più grande. 18 giugno, festa nazionale di Slow Food. Trecento piazze per il cibo buono, pulito e giusto. Sfuggita di mano a tutti. Un movimento di popolo che si raduna, si organizza le piazze sono trecento, mille, tremila. Ogni luogo diventa piazza di connessione, di convivio, di racconto di costruzione, di speranza. Organizzazioni perfette. Lavoro, economia che gira, felicità tramutata in PIL.

Che tristezza aspettare Pontida, discutere di Tremonti e di Brunetta, vedere persone di Governo e di Potere in fila da un cialtrone come Bisignani per avere un favore, per un piccolo privilegio, per una camarilla.

Che gioia vedere la piazza della FIOM colma, sentire Benigni e Travaglio, Santoro e Vauro e i giovani che stanno insieme agli operai.

Chi non vede il futuro è cieco.

All'entusiasmo, all'intelligenza si sta unendo l'organizzazione. E questo è il principio di una mutazione rivoluzionaria. Noi adulti abbiamo il dovere di farla sbocciare, in avanti. Dobbiamo proporre persone serie che aiutino il processo. Persone alle quali affidare le redini con la missione primaria di rendere distinguibile potere e governo, di assoggettare il primo al secondo. La nostra meravigliosa Costituzione spiega per bene come fare.

Di liberare l'Italia dai ricatti di imbroglioni da due lire, di liberare i ricattati dalle spade di Damocle, di scrivere, per una volta, la vera storia di questo paese, senza omissis e senza reticenze.

Ai giovani, d'età e d'animo, auguro di essere protagonisti. Dite un secco no a chi, per scacciare l'incubo, propone un bel sogno.

È tempo di aprire gli occhi, il mondo nuovo ha bisogno di verità. Buon lavoro ragazzi.(di Pino De Luca)


Nessun commento: