Il racconto che riporto di seguito rispecchia l'infanzia e l'adolescenza che ciascuno di noi ha vissuto a cavallo tra gli anni sessanta e settanta nei paesi del Salento.Per lungo tempo abbiamo vissuto su travestimenti opposti. I conservatori, di spirito e comportamento, hanno vestito i panni dei rivoluzionari e gli innovatori vestivano i panni del tradizionalismo e della conservazione.
Il progresso della scienza e delle tecnologie, la conseguente evoluzione economica e sociale hanno prodotto un notevole allungamento della vita media e anche della qualità della medesima.
Così, a oltre cinquant'anni trascorsi nel più tumultuoso dei periodi storici, si possono inanellare ricordi e affastellare le evoluzioni del “sentire comune” di epoche temporalmente vicine eppure lontanissime per concetto.
La diffusione insopportabile delle automobili, almeno nei paesi dell'entroterra salentino, ha molto meno che cinquant'anni. Avevo dodici anni, all'inizio degli anni '70 del secolo breve, che ancora si potevano organizzare i campionati di pallastrada.
A Cellino c'erano ancora i rioni: la strata te Santu Marcu, la 'Mpalata, la Cabbina, le Scole, la Strata te Schinzanu, ecc. con annessi elementi di ulteriore identificazione geografica.
I soprannomi erano d'uso normale, le donne avevano il fazzoletto in testa, il pane si faceva ancora in casa, la mattina “passavanu le crape”, lu Marcu Zzingarieddhru le mungeva e ti dava il latte e, d'estate, passavano i gelatai con il loro mezzo speciale pedali: lu Totò e lu Sparabotte, ora non ricordo chi usava gridare “Geeelati Marìa” per attrarre chi disponeva di dieci o venti lire per l'agognata frescura.
Di bambini e ragazzi ce ne erano tanti, poche televisioni e allora adulti si diventava tardi e di colpo. Ti crescevano i primi peli, la cartolina della leva si avvicinava. Al ritorno eri adulto. Adulto perché avevi servito la patria. L'adolescenza si trascorreva per strada, in campagna e si calcavano immaginarie orme di mitici campioni: Rivera, Mazzola, Lodetti, Hamrin, Haller, Schnellinger, Pizzaballa, Albertosi, Sivori, Sormani, Suarez erano nomi che evocavano sogni lontanissimi, che si imparavano dagli album delle figurine Panini.
E questi eroi si muovevano piccoli e sbiaditi, in bianco e nero sugli schermi bombati di televisioni tanto pesanti quanto rare, diventando giganteschi nell'immaginario di ragazzetti vivaci con gambe e mani sporche di terra e di erba e coreografate da mappe di croste a varia stagionatura. Segni di relazioni con il terreno non sempre amichevoli.
Perché portavamo i calzoncini corti appena il sole di marzo riscaldava l'aria e lasciavamo le scarpe già nel mese di aprile muovendo i piedini, che presto sviluppavano un fondo resistente, su ogni tipo di superficie.
Abitavo alla Cabbina e c'era un campo che spietrammo e spianammo, organizzandolo perché volevamo costruire degli spazi per giocarci. Ed erano importanti le partite che si giocavano. Molte delle quali finivano alle mani, altre già con le mani cominciavano.
Scazzottate memorabili e partite di pallastrada, con palloni che urtavano ovunque e calciatori in erba che dovevano scartare ogni cosa, dribblare ostacoli umani e no.
E ad ogni tiro in porta prepararsi pregare che il portiere la parasse altrimenti ci si doveva preparare ad uno scontro fisico: il portiere chiamava la palla fuori e il tiratore la vedeva all'incrocio dei pali.
E non c'era né palo né traversa e la discussione diventava infinita.
Nel campionato di pallastrada vincevano tutti sempre e la partita finiva per alcuni e altri ne arrivavano a sostituirli, senza soluzione di continuità.
Poi arrivarono le 500, le 600, le 1100, la 127 e la 128, la 124 e la Giulia Super. I campionati furono sospesi, fino all'ultimo resistette la 'Mpalata, Piazza della Repubblica, unico spazio nel quale si potevano dare calci ad un pallone con le regole della pallastrada. Ma finì presto anche lì.
I cellinesi avevano cominciato a fare meno figli e a sviluppare un certo odio verso i giovani: Non sopportavano l'entusiasmo e la voglia di fare allegria, magari anche di buttarla in caciara. Vennero i circoli e l'eleganza, le discoteche e il Ciao, il Boxer e la Moto Morini.
La politica dette una risposta alla fine della pallastrada: in una riedizione delle storie di Guareschi, le gloriose squadre CC Gramsci e Libertas si fronteggiarono per quasi un lustro stimolando la partecipazione dei giovani allo sport e all'agone politico.
Partite epiche quando, per ragioni che solo la storia conosce, le selezioni principali che venivano dalla pallastrada produssero gruppi di calciatori davvero bravi.
Gente che aveva imparato a non sentire il dolore e la fatica, e ogni astuzia nei trailers spietati sulle strade bianche e sugli asfalti approssimati.
Poi anche la politica si disaffezionò ai giovani, li lasciò da soli a macerarsi su quello che sarebbe potuto essere e che invece non è stato.
Passarono anni di tristezza e di pochi eroi che, memori della pallastrada, continuavano a frequentare il campo di calcio antico e mai finito, luogo di mille diatribe filosofiche e culturali.
Vi erano anche alcuni dei puristi della pallastrada, masochisti imperterriti e intellettualmente sviluppati che continuarono a giocare ad ostacoli. Nel luogo più difficile e tormentato: il boschetto. Era lì che si misurava la balentìa del vero lottatore di pallastrada. Piedi nudi su tappeti di aghi di pino che nascondevano sassi puntuti, rizzieddhri e radici d'albero dure e nodose che sporgevano dal terreno. Correre, scartare, crossare, fintare, entrare in tackle su caviglie rosse di terra e di colpi in un sabba frenetico e senza sosta. E dopo, sfiniti, stendersi a terra, mangiare pinoli e sognare il domani.
La passione per il calcio non si è mai spenta però, tra alti e bassi, è rimasta a volte sotto la cenere a volte in fiamma vivida e brillante.LEGGI TUTTO