Per molti secoli le popolazioni europee, in particolare i poveri, sono state straziate da un male terribile: il Fuoco di Sant’Antonio. Non parlo della versione “moderna”, l’Herpes zoster. Ma della azione devastante, sia nella forma “gangrenosa” che in quella “cronica”, che alcaloidi perniciosi provocavano nelle carni di ignare moltitudini affamate. L’infezione della Claviceps Purpurea alle piante di segale, la resistenza delle sue tossine alle alte temperature, provocava delle epidemie che, in realtà, erano terribili forme di avvelenamento collettivo. Come rispondere se non rivolgendosi a colui che combatté le fiamme dell’inferno? Sant’Antonio Abate e ai suoi santuari! E, molto spesso, Sant’Antonio faceva il miracolo.
I sintomi dell’ergotismo, specialmente nella forma gangrenosa, sono devastanti. La forma più visibile e dolorosa: lesioni cutanee orribili, l’unico modo per lenire la sofferenza: lo strutto.
Esso era nella disponibilità dei monaci antoniani che, per sostenersi, furono autorizzati ad allevare maiali. I maiali marchiati di tau, castrati e con una campanella al collo, si nutrivano di “pubblica carità” circolando liberamente per le strade dei villaggi e delle città.
Il viaggio e la permanenza nelle aree circostanti il culto allontanavano dai luoghi nei quali c’era il focolaio dell’infezione, cambiava l’alimentazione (fave e carne di maiale), riduzione dell’avvelenamento e indubbi vantaggi in salute.
Compreso, qualche secolo dopo, che l’origine del male è la Segale Cornuta, il mito del santo guaritore scemò e i maiali, da bestia sacra, ridiventarono un problema.
Sant’Antonio però è un Santo pieno di sorprese, rimane la simbologia e tutta intera l’iconografia e la sua storia straordinaria della quale i simboli primari son la tau, il fuoco e il maiale.
Storia che si rinnova in alcuni luoghi portandosi appresso un carico di intarsi, tra il cristiano e il pagano, antropologicamente interessantissimi.
Ma qui si racconta di cibi e Sant’Antonio Abbate ne ha ben donde: Purea di fave, carne di maiale e “pane non impastato”. Lo spazio è poco e le cose da dire sarebbero molte, ma non si può lasciar sottotraccia l’unguento miracoloso, ormai inutile come farmaco ma portentoso in cucina. Farsi da sé lo strutto è semplice e i risultati sono eccellenti.
Il maiale ha due tipi di grasso: il lardo e la sugna, il primo è dorsale ed è strettamente legato alla cotica; il secondo è addominale e senza pelle. Lo strutto si fa fondendo la sugna, tagliandola a piccoli pezzi di un cm e ponendola in una pentola spessa con cinque sei foglie di alloro.
Una sorgente di calore a bassa intensità ed ampia diffusione (fornello piccolo dotato di largo spargi fiamma), la sugna deve sciogliersi senza cuocere, la temperatura deve essere al massimo 70 °C. Lentissimo riscaldamento, diciamo 4-5 ore e si ottiene un liquido trasparente che, attraverso un colino, si versa in un vasetto. Raffreddandosi diventa cremoso e candido.
Nel colino resteranno i ciccioli, non vanno buttati, servono per il tortano …
La sera del 16 gennaio, per sapere cos’è Sant’Antonio Abate nel comun sentire, fare un salto a Novoli!!!(di Pino De luca)