Da qualche giorno a questa parte il genio creativo di Pierpaolo Lala e il coraggio editoriale di Cosimo Lupo ci annunciano “Una frisella sul mare.”
Innumerevoli ristoranti nel Brunch da spiaggia propongono la frisa come alternativa saporita e salutare al “panino nel cellophane”, al frittomisto surgelato o ad altra forma di acquisizione di glucidi, lipidi e proteine per chi si gode il mare del Salento.
La frisa (ab origine fresa) o frisella (fresella) non è un alimento, è una parte fondamentale della letteratura del Sud. Pane bis-cotto a lunghissima conservazione che, grazie ad una spruzzata d'acqua e a pomodoro, olio, sale (peperoncino, basilico, origano, cocomero, olive, capperi, ecc...) riprende vita. La frisa è come la pizza, una base comune e decine di declinazioni diverse.
La frisa varia, per costituzione e forma. Di orzo, di grano, di “grosso”, con il buco e senza il buco, di “sopra” e di “sotto”, per chi tiene “lu cazzu buenu” e chi ha ormai una ridotta dotazione odontoiatrica.
Non è mia intenzione ripercorrere la dotta trattazione di Armando Polito (Terra D'Otranto, ottobre 2012), ad essa rimando per ogni approfondimento filologico, ma due cose son da tenere in mente.
La frisa senza buco è frisa di terra, di famiglia dalle dispense povere, di pasta densa e pesante, assorbe grandi quantità di acqua, da masticare lentamente e saziante. La frisa con il buco è frisa da “caminanti”, magari infilata in un cordone e appesa ad un chiodo, sulla barca, sul carro o ad una colonna di una osteria di campagna, da comprare e portarsi via per il viaggio.
La frisa è ingrediente insostituibile per alcuni piatti atavici: i “muersi” e la caponata.
La caponata dalle mille interpretazioni. Fondamentale nella storia dell'uomo, cucina di miscuglio (e di resti) tipica delle “cauponae”. Le osterie di campagna, mitici luoghi sulle consolari tra la “tabula” dei cavalieri e la “popina” degli habitué.
Nelle couponae si pernottava, si beveva e si mangiava e a servire erano le “ministre” che, in quanto mescitrici, potevano accoppiarsi liberamente. Mai con la “domina cauponae”, donna di serissimi costumi resa adultera dal sol mescere il vino.
Nella cauponea regnava la “caponata”. Con la frisa di “sotto”, quella di sopra, più fragrante e pregiata, sarebbe uno spreco “frenderla”.
Per quella di sopra il foro va serbato: cuore salentino o qualcosa di più prosaico, dipende dalle “ministre”.
Nessuno sia esoso quando serve una frisa, in essa c'è la sacralità dell'ospite per la quale questa terra è famosa ed apprezzata nel mondo.(di Pino De Luca)
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