Qualche giorno addietro, 27 di gennaio, giornata della memoria. Oggi, 10 di febbraio, giornata del ricordo. Tra le due date due settimane e sulle due date si consumano le menzogne più banali e volgari e si consumano anche sulle due date. Il presente costruisce il passato per giustificarsi.
La radio nazionale, quella della rai e anche le televisioni, per non dire dei film raccontano il 27 gennaio come la data della liberazione di Auschwitz da parte degli alleati. Dovè il falso? Semplice, chi liberò Auschwitz il 27 gennaio fu l'Armata Rossa che, per prima, arrivò pure a Berlino. Il carro armato entra nel campo di concentramento dando forma al sogno del bambino che si salva nascondendosi ovunque nel meraviglioso “La Vita è bella” di Benigni. È un carrarmato con la bandiera a stelle e strisce e Benigni vince l'Oscar. Eppure il carrarmato che entrò ad Auschwitz portava la bandiera rossa e la falce, martello e stella … ma il caro Roberto se lo sognava l'Oscar se avesse rispettato la storia.
Poi le Foibe, qualche decina di migliaia di persone massacrate dai titini alla fine della guerra. Tanta gente innocente buttata nelle grotte carsiche … Tutto vero. Vorrei però riportare un brano del discorso di Benito Mussolini sulla questione istriana:
«Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. [...] I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani»
Il discorso è ben precedente le leggi razziali del 1938 che qualche buontempone tende a definire come conseguenza del patto con Hitler. Mussolini dice queste cose a Pola nel 1920, quando ancora doveva fondare il Partito Nazionale Fascista. Mi piacerebbe che nel giorno del ricordo delle Foibe si ricordassero anche i crimini commessi dagli ustascia e due nomi geografici: Arbe e Gonars.
Abbiamo da liberarci della più grande bugia della nostra storia: “Italiani brava gente”, solo così diventeremo italiani consapevoli. Dopo centocinquant'anni dalla breccia di Porta Pia, forse è ora che l'aspirazione di D'Azeglio sia l'obiettivo per i prossimi cinquant'anni.
So bene che vivo nel paese in cui il capo del sistema scolastico è una signora che ha attraversato tutti gli ordini di scuola conservando i neuroni intonsi: un perfetto robot che esegue gli ordini superiori; vivo nel paese in cui chi parla di meritocrazia alla frase “in media stat virtus” pensa solo alle cosce; vivo nel paese in cui un Parlamento dice di fare le leggi contro i fannulloni e poi si prolunga le ferie perché non ha nulla da fare; vivo nel paese in cui le mignotte hanno il cellulare del Presidente del Consiglio e lo possono chiamare quando vogliono; vivo nel paese in cui si è chiamata rivolta per il cambiamento quella che ha eletto falliti, magnaccia, truffatori e maneggioni di ogni risma al cui cospetto i nani e le ballerine del peggior Craxi fanno la figura dei premi Nobel.
Ma vivo nel paese degli operai che s'alzano la mattina e buttano sangue nelle fonderie e nelle industrie, nel paese di chi sale sui cantieri e ogni volta che torna a casa è felice di aver salvato la pelle, di impiegati costretti a fare lavori alienanti e sbeffeggiati, di donne e di uomini atterriti da un futuro oscuro, di pensionati che vedono sgretolarsi il paese per il quale hanno lottato, vivo nel paese di tanta gente per bene che ha bisogno, io credo, di verità. Per sentirsi italiani. Per sentirsi orgogliosamente italiani, con tanto peso sulle spalle ma anche tanta forza da portarlo senza chinare la schiena.di Pino De Luca
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