Il successo che arriva a settant'anni non ti cambia la vita, d'accordo. Ma incontrare Andrea Camilleri nella casa romana del quartiere Prati, il portone accanto alla sede della radio, nello stesso salotto da pensionato Rai dove l'ho conosciuto tanti anni fa, al principio dell'avventura, è una bella lezione di vita. Esattamente come quel giorno lontano, Camilleri si è svegliato alle sei, si è sbarbato e vestito di tutto punto per mettersi a scrivere, dalle sette alle dieci, minuto più, minuto meno. Ora, senza intervista, sarebbe in giro per il quartiere, al bar, a comprare le sigarette, a raccogliere le frasi perdute dalla gente, che poi finiranno in qualche suo romanzo. Dopo pranzo si rimetterà al tavolo di lavoro, per rivedere le pagine, correggere, riscrivere, per altre tre ore. La sera forse andrà a teatro con Rosetta, sua moglie da cinquantatré anni.
In mezzo a queste due giornate uguali, scandite dagli stessi riti, sono passati tre lustri, una trentina di romanzi, tradotti in tutto il mondo e venduti in ventuno milioni di copie, record per uno scrittore italiano.
Nessuno figura nella classifica dei primi dieci romanzi più venduti, ma quelli, da Eco a Saviano, per ora almeno, sono autori di un solo grande successo. Camilleri è una bottega da best seller, una formidabile macchina di scrittura. Di questo si parla.
Il patto con Camilleri è di non occuparsi per una volta del battutista di Palazzo Chigi, un'ossessione di molti e anche sua. Ma è più affascinante l'altra ossessione, quella nei confronti della più grande macchina per scrivere della storia della letteratura, Georges Simenon. Camilleri l'ha letto, studiato, conosciuto, ammirato e naturalmente imitato per tutta la vita. Gli ha offerto un omaggio straordinario, e assai gradito da Simenon, curando la più bella traduzione in immagini delle avventure del commissario Maigret mai girata, quella con l'indimenticabile Gino Cervi. LEGGI TUTTO
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