mercoledì 1 aprile 2009

I silenzi del G20 di Paul Kennedy

Con gli occhi del mondo puntati sul vertice dei leader mondiali del G20 a Londra, può sembrare strano evocare Karl Marx. Sarebbe difficile spiegare al padre intellettuale del comunismo che il capitalismo globale è ancora vivo a un secolo e mezzo dai suoi scritti più celebri. E che i governi dei principali paesi del mondo, anche se sconvolti da qualche investimento stupido e da un po' di follie bancarie, si incontrano per rimettere insieme i cocci dei mercati finanziari internazionali.
Marx sottovalutò la capacità del capitalismo di reinventarsi in continuazione e di dimostrare – c
on tutti i suoi difetti e con qualche prudente modifica ai princìpi del libero mercato puro – di essere migliore degli altri "ismi". E non previde gli eccessi che sarebbero stati commessi nel tentativo di costruire la dittatura del proletariato.
Ma nonostante il fallimento delle previsioni di Marx, una parte significativa della sua analisi economica merita di essere recuperata. In particolare, penso alla sua comprensione del fatto che mentre i cambiamenti tettonici a lungo termine delle "forze di produzione" si svolgono a un ritmo diverso da quello delle frenetiche attività dei governi e dei leader che occupano la "sovrastruttura", il loro impatto storico è migliore delle dichiarazioni di qualsiasi gruppo di capi di stato.La storia è disseminata di accordi solenni – il Trattato di Versailles del 1919 è forse il più noto – che non sono riusciti a cogliere il movimento delle placche tettoniche sotto di loro. Eppure, al tempo di questi vertici, i mezzi d'informazione parlavano della sensazionale riunione di tanti leader importanti, della loro retorica su come salvare il mondo e dei loro appelli a lavorare insieme per raggiungere gli obiettivi del genere umano. Perché il pubblico – e le borse – non avrebbero dovuto credere che i terribili problemi internazionali stavano finalmente per essere risolti?LEGGI TUTTO

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