domenica 3 maggio 2009

Mondo:"Il cappuccino di Zuma "di Binyavanga Wainaina

Zuma sembra avere desideri e sogni che non sanno di cappuccino. E noi abbiamo paura...Qualche anno fa sono tornato in Sudafrica per una breve vacanza. E mi sono fermato a Johannesburg per vedere dei vecchi amici. Se la passavano bene e non abbiamo parlato di politica. Abbiamo parlato di case in città: chi ne ha una, chi due.
Di auto comprate o prese in leasing: il leasing è meglio, perché così puoi cambiare auto ogni anno. I miei amici hanno studiato economia all'università, e fanno parte dei cosiddetti empowerment babies, i figli della generazione nera del post-apartheid che guadagnavano stipendi da favola e lavoravano per banche e cose simili a Johannesburg.
Sembrava tutto normalissimo. In ogni aeroporto dove andavo vedevo queste persone che bevevano il loro cappuccino, tutte giovani e ben curate, tutte con ricchi stipendi, tutte in grado di raccontare qualcosa sui musei di Barcellona o sull'idroterapia del colon o sulle feste di Amsterdam.
Una cosa univa questa nuova classe nera: la finanza. Sembrava che lavorassero tutti nella finanza. Io no, ma lo facevano moltissimi miei amici in tutto il mondo, e quindi conosco bene il gergo del settore.
Sapevo, per esempio, che se qualcuno trovava un lavoro da Citi era una buona cosa. Ma non sapevo perché. Sapevo che c'era la finanza con la minuscola e quella con la maiuscola. Cioè sapevo che non dovevo esaltarmi se qualcuno mi diceva di essere un direttore di banca: quella non era Finanza.
La Finanza non gestiva le banche, quella era roba vecchia come la musica folk. La Finanza si interessava di hedge fund, investiva sui mercati emergenti, speculava sul rublo, riconfezionava i mutui, faceva copia e incolla, si sbizzarriva in operazioni matematiche da capogiro. Era come il jazz. No, come l'hip hop: campionava di qua e di là e dopo poche ore di copia e incolla creava un grande successo su YouTube.
L'idea di passare dieci anni a studiare la chitarra e cinque a studiare canto, per poi esibirsi per quarant'anni in piccoli bagni pubblici e alle stazioni degli autobus, mettendo da parte pochi risparmi e usando gli scarsi profitti per crescere, era superata, era la maledizione dei banchieri all'antica, come la musica folk. In questi tempi postmoderni, invece, la tecnologia, i mercati e YouTube stavano riplasmando il mondo.
Io ero entusiasta di tutte queste cose. Appena due anni fa sembrava che il mondo fosse un grande sito web e che bastasse usare delle password per renderlo a nostra immagine e somiglianza.
Nell'era del touch screen la rivoluzione dei telefoni cellulari avrebbe sostituito le idee, l'ideologia e l'immaginazione. Le operazioni bancarie via sms avrebbero unito l'operatore di borsa di Lagos al cliente di Johannesburg.
Così, quando due anni dopo abbiamo saputo che Jacob Zuma si candidava a presidente, siamo rimasti senza parole. Quest'uomo, con idee molto originali sui preservativi, un'istruzione elementare, poligamo e con un modo di parlare in pubblico che sembrava lontanissimo dal copia e incolla, era il richiamo del passato terribile.
Sapevamo che c'era bisogno di una migliore educazione tecnologica per gestire l'economia nell'era degli sms. E che invece persone come Zuma si arrabbiavano solo perché non erano connesse alle reti informatiche. Non sapevano che avremmo potuto inventare delle reti informatiche in zulu con traduttori simultanei e che potevamo aiutarle a fare delle transazioni su Hong Kong anche se erano analfabete.
Dovevano semplicemente parlare in zulu nel loro iPhone e si sarebbe aperto un pop up che indicava la probabilità statistica che una vendita andasse o meno a buon fine.
Oggi Zuma è presidente del Sudafrica e noi abbiamo paura. Abbiamo molta paura delle bestie che potrebbe liberare e che noi di certo non conosciamo, perché l'uomo sembra avere desideri e sogni che non sanno di cappuccino. Lui ce li ha da prima che arrivassero i nostri software sofisticati; mentre noi eravamo impegnati ad andare dallo psicoterapeuta, a riscoprire la nostra identità, a finanziarci con soldi presi in prestito o a fare altro.
In realtà molti di noi non avevano tempo da dedicare a Zuma, perché eravamo occupati a scoprire, dopo il crollo dei mercati, che la stagione del fondamentalismo religioso era una stagione di fondamentalismi globali e che anche noi eravamo dei pentecostali del mercato.
Come tutti gli altri, abbiamo visto la nostra enorme chiesa implodere e i nostri pastori coinvolti in scandali sessuali. Abbiamo scoperto che le guarigioni istantanee erano un inganno, che i miliardi di calcoli dei computer non intaccavano il comportamento umano. Che il mercato era un animale primitivo com'era nel Vecchio testamento.
Abbiamo creduto che un semplice gesto potesse riplasmare il mondo. Pensavamo, senza ombra di dubbio, senza lo scetticismo che ci era stato insegnato a scuola, di essere la generazione che avrebbe fatto premere un tasto al mondo e che lo avrebbe proiettato nel ventitreesimo secolo. E ora? (fonte internazionale.it)

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